Parrocchia di San Marco e San Vito
Complesso di più edifici che comprende la Chiesa di San Marco e San Vito, Casa Parrocchiale, Sale incontri, Teatro / sala conferenza, capetto sportivo polivalente, ampio giardino adibito anche a ritrovo per faglie con parco giochi interno.
Chiesa San Marco
Nell’anno 966 papa Giovanni XIII, che si trovava da alcuni mesi infermo a Capua, elevò a sede arcivescovile quella diocesi e ne nominò arcivescovo Giovanno, fratello del principe di Capua Pandolfo, dandogli per suffraganei e soggetti dieci vescovi. Molti anni dopo l’arcivescovo di Capua Atenulfo nomina vescovo di Sessa Benedetto nel 1032 e gli affide il governo della diocesi con una Bolla nella quale descrive minuziosamente i limiti del territorio della diocesi ed elenca tutte le chiese esistenti nel detto territorio.
Nella Bolla suddetta è menzionata la “ ecclesia sancti Marci de articola” , la chiesa di S. Marco di Articoli, chiese da identificare senza ombra di dubbio, nella chiese di S. Marco in Cellole. Il primo interrogativo al quale si deve dare una risposta è perché il titolo di questa chiesa è legato a Marco, lo scrittore del secondo vangelo. Mentre per un luogo o per un territorio il titolo ha origine da una derivazione, da un’apposizione, da una composizione, dai proprietari di fondi romani ecc.
Per le chiese, il titolo ha origine dalla consuetudine, che vigeva in Roma e altrove, di porre sul fronte esterno delle domus una tabella di legno con il nome del proprietario per riconoscere la casa; nell’ordinamento ecclesiastico, in un primo tempo, il nome vi rimase come distintivo in memoria e gratitudine del conditor, proprietario o fondatore. In seguito, durante i secoli V e VI, parecchi titoli che designavano i primitivi proprietari o mecenati assunsero i nomi dei santi, dei quali la chiesa conservava le reliquie; mentre nel VI secolo tutti i titili ebbero indistinatamente il nome di un santo, a volte dell’eponimo originario santificato. Sappiamo, dall’elenco dei titoli romani in ordine cronologico che il titulus Marci , risale all’anno 336.
Nella chiesa di S. Marco in Cellole non si conservano certamente le reliquie del santo ragion per cui il titolo deriva dall’eponimo originario santificato. Eponimo è il personaggio storico che ha avuto una presenza nel luogo e del quale la comunità ne conserva la mamorio.
“L’autorevole tradizione, da tutti riconosciuta e accettata vuole che l’apostolo Pietro, accompagnato dall’evangelista Marco, nel suo viaggio da Antiochoia a Roma, forse nei primi anni del governo di Nerone (54-58), sbarcato probabilmente a Napoli (o Brindisi secondo alcuni), abbia percorso la via Appia sostando di qua e di là presso case contadine dove si nutrivano e raccontavano di Gesù del Suo Messaggio di Amore, delle Sue Parole, e dei Suoi Miracoli che non era per loro un diletto, ma un preciso impegno della missione ricevuta : << Andate in tutto il mondo e portate il messaggio del Vangelo a tutti gli uomini >> Mc 16,15)”.
Non è affatto improbabile ipotizzare che, mentre Pietro annunziava la Parola di Dio in Suessa, il suo compagno di viaggio di fede Marco compisse la stessa missione nel piccolo villaggio di Cellole; in tal modo il primitivo nucleo cristiano di Cellole conservo gelosamente la memoria storica del suo fondatore, di colui che aveva sparso il seme della fede cristiana tra i suoi figli e pertanto come farà Sessa per la memoria di S. Pietro così titolando la chiesa cattedrale, intitolerà la sua prima chiesa parrocchiale a S. Marco.
Nulla ci è dato di sapere sulla vitalità pastorale di questa comunità , ma dall’impianto struttivo ritrovato dopo aver sollevato il pavimento della chiesa odierna nell’anno 1971, per eliminare la dannosissima presenza di copiosa umidità proveniente dal sottosuolo, si è constatato la presenza di una successione di tre edifici sovrapposti i cui muri laterali, pur rimanendo sempre selle stesse fondamenta, furono di volta in volta innalzati insieme al pavimento.
Nella chiese primitiva l’abside aveva lo zoccolo dipinto a imitazione da lastra di marmo, ma non è possibile sapere cosa fosse dipinto nella conca absidale; mentre gli angoli dell’abside sono affrescati con colonne scanalate a spirale.
Sulle pareti laterali sono ancora visibili lacerti di affresco di un ciclo cristologico al di sopra delle motivo di cortine appese e su basi dipinte con animali fantastici.
E’ stato anche ritrovato un sedile semicircolare in tufo nero nell’abside e due muretti, anch’essi del medesimo materiale, che dividevano l’aula in due parti: la zona del presbiterio e la zona assembleare. Tale strutturazione dello spazio celebrativo risulta quasi del tutto sconosciuta nella dimensione struttiva tipologica dell’occidente cristiano, ma è tipica e sempre presente nell’ordinamento architettonico delle chiese cristiane d’oriente.
I due muretti, infatti, sono la evidentissima significazione dell’iconostasi, (luogo dell’immagine), che è l’elemento di divisione che nelle chiese bizantine separa il presbiterio dall’aula riservata all’assembea.
La chiesa di S. Marco, dunque, è stata il primo edificio di culto della comunità cristiana che probabilmente, come in tutte le altre parti dell’Italia al termine delle persecuzioni per l’editto di Milano del 313 voluto dall’Imperatore Costantino, la edificò intorno alla metà del secolo IV. Quando dal 726 al 775 l’imperatore d’oriente Leone III Isaurico (717-741) e poi Costantino V emisero tutta una serie di disposizioni sull’uso delle immagini sacre in nome di quella che essi ritenevano purezza e dignità della fede cristiana e in seguito dal 815 all’ 842 i loro successori, si scatenò una feroce persecuzione contro i detentori delle immagini sacre. I monaci vennero perseguiti ferocemente, gli venne vietato di portare l’abito monastico, vennero torturati e bruciati.
Era naturale che tutti coloro che ne avevano la possibilità tentassero di fuggire per mettere in salvo se stessi e le icone dalla furia devastatrice dell’iconoclastia rifugiandosi in altre terre. Ed in tale periodo che l’Italia, specialmente meridionale perché più vicina e più facilmente raggiungibile anche con i mezzi di fortuna, si copre di uno stuolo di immagini sacre la cui iconografia e la cui denominazione sono squisitamente bizantine, orientali. Nel territorio della diocesi di Sessa , infatti, si rende presente, tra le altre , un’immagine della Beata Vergine Maria che porta in grembo il piccolo Gesù denominata Maria Santissima di Costantinopoli ; lo stesso concilio del 754, che aveva sancito il divieto assoluto di fare, usare e venerare immagini, aveva anche proclamato la divina maternità e superiore santità di Maria SS. Sono tre le comunità cristiane che, ancora oggi, venerano da secoli la Vergine SS. Con il titolo di Maria SS. Di Costantinopoli e sono: Cellole, Cascano, Corigliano. In Cellole proprio nella chiesa di S. Marco in un affresco ancora leggibile, che si trova sulla parte sinistra al di sopra del parapetto sinistro dell’iconostasi, è raffigurata la Vergine Santa che ha tra le braccia il piccolo Gesù tra i santi Marco e Giovan Battista.
Probabilmente nell’ VIII o IX sec. qualche monaco fuggiasco, percorrendo la via Appia o sbarcando sulla costa, ha introdotto anche nella comunità cristiana di Cellole la venerazione alla Madre di Dio, certamente già presente tra quei cristiani, sotto il titolo, così poco occidentale, ma tanto e specificatamente orientale, do Maria SS. di Costantinopoli .
Una ulteriore conferma di possibile datazione viene dal sedile semicircolare sul cui bordo corre un‘iscrizione in lettere capitali bianche su fondo nero:
Ad onore dei omnipotentis et sci marci.
Ego landenulfs cu megalu ux……..
Gli anni sono perfettamente concomitanti per i personaggi, ma anche per la dimansione architettonica della seconda chiesa di S. Marco e per gli affresci che sono ancora visibili e che sono databili proprio all’ultimo periodo del secolo X.
Nota bibliografica: V. Cicale “La Chiesa bizantina di San Marco di Cellole” Roma 2000